Intervista a Chantal Akerman

di Hans Ulrich Obrist

HANS ULRICH OBRIST: II rapporto tra realtà e finzione è sicuramente uno spartiacque tra i tuoi film di fiction e i tuoi video artistici. Senza dubbio anche la dimensione fisica, spaziale dell'installazione gioca un ruolo importante. Dopo aver visto la tua installazione D'Est alla Galerie du Jeu de Paume nel 1995 e poi tutti gli allestimenti e le opere successive, presentate a "Voilà" (Musée d'Art Moderne de la Ville de Paris, 2000) o a Documenta 11 (Kassel, 2002) o nelle gallerie, sono sempre stato molto colpito nel vedere fino a che punto tu sei riuscita ad occupare uno spazio veramente particolare, unico, tra il cinema e l'installazione di arte; uno spazio che vive sulla loro tensione. Cosa ti ha scatenato la voglia di fare anche video e installazioni oltre, e in parallelo, ai tuoi lavori cinematografici?
CHANTAL AKERMAN: Ho cominciato soprattutto perché così mi è stato chiesto, non è stata una mia iniziativa. Tutto è iniziato con Michael Tarantino, che mi ha chiesto di fare qualcosa al Beaubourg, in occasione della mostra "Passage de l'image"; ma non avevo tempo ("Passaggio dell'immagine", Museo Nazionale d'Arte Moderna, Centro Georges Pompidou, 1990)... Poi lui ne ha parlato con Kathy Halbreich che, in quel momento, era a Boston ed è così che ho cominciato a pensare all'installazione D'Est (1993). Altrimenti non ci avrei mai pensato. Non mi vedevo capace di installazioni plastiche. Ora è diverso. Per esempio, a proposito dell'ultima parte dell'opera esposta a Documenta (De l'autre côté, 2002), che poi è stata esposta in altre gallerie d'arte, l'idea di realizzare la struttura dell'installazione mi è venuta prima di girare il film. Era la prima volta che questo accadeva. Fino allora, il film era già lì, sin dall'inizio, e l'installazione derivava dal film. Mentre oggi le cose, le idee cominciano a muoversi subito verso l'arte, senza che ci sia già un film...

HANS ULRICH OBRIST: Non si tratta quindi del transfert da un mondo all'altro, ma piuttosto di una specie di oscillazione... Anche in D'Est, alJeu de Paume, era chiara questa tua volontà di invitare lo spettatore a farsi fisicamente coinvolgere nello spazio dell'installazione: gli schermi, infatti, non erano disposti in modo lineare. Spesso si rimprovera ai video d'indurre lo spettatore ad un atteggiamento contemplativo, quindi passivo, proprio a causa della disposizione frontale dei monitor; e l'idea di distribuire l'attenzione di chi guarda in diverse direzioni mi era sembrata davvero una soluzione efficace al problema, o no?
CHANTAL AKERMAN: Sì. Lo scopo di quell'installazione è che ci si possa girare intorno. Credo che bisognerebbe metterci delle sedie che ruotano sul loro asse. Come ha fatto, per il suo atelier, quell'artista di cui ora mi sfugge il nome...

HANS ULRICH OBRIST: Bruce Nauman?
CHANTAL AKERMAN: Esatto. Le persone si devono muovere, devono poter afferrare un pezzettino del testo di mia madre, un pezzettino del mio e di quello di mia sorella. Poi devono potersi alzare e andare a guardare l'oggetto da vicino. Ma bisognerà valutare attentamente l'efficacia di questa idea allestitiva, testarla prima di tutto attraverso un modello. Non ho più voglia di lavorare direttamente e immediatamente su uno spazio nel quale si può valutare il risultato solo quando è già troppo tardi per correggerne il tiro: cioè quando lo spazio diventa una costrizione irrinunciabile, con la quale si deve creare. In Documenta, l'idea era quella di proiettare la fine del film De l'autre côté in mezzo al deserto, su un grande schermo situato tra due montagne - una americana e l'altra messicana - poi filmare la scena con lo schermo ed inviarne le immagini direttamente via Internet a Kassel. Ma sono stata costretta a ridimensionare le ambizioni del progetto, a causa di problemi di spazio e di soldi. E l'installazione che ne è derivata non era quella che volevo. E per questo motivo che ora voglio lavorare prima su un modello, un plastico in scala. Ma questo non vuol dire che il progetto di un'installazione non possa prendere anche altre forme, molto diverse, in relazione ai contesti espositivi nei quali è esibito.

HANS ULRICH OBRIST: Agnès Varda mi parla spesso del grande fascino emanato dalle nuove cineprese digitali, o dai DVD, della loro facilità d'uso e potenzialità... Tu che ne pensi?
CHANTAL AKERMAN: Avevo una piccola cinepresa digitale, che mi è stata rubata a Los Angeles. L'avevo usata per riprendere molte immagini di De l'autre côté facendo tutto da sola. Ho ancora delle cassette di riprese sull'autostrada, ma purtroppo altre cassette con 40 minuti d'interni mi sono state rubate! Se almeno mi avessero lasciato le immagini! Quelle cineprese sono fantastiche... Senti qualcosa e subito lo riprendi. Non so se ti ricordi che in De l'autre côté c'è un piano-sequenza nella notte, prima dell'incontro col gruppo. È un piano-sequenza che ho fatto io, da sola…

HANS ULRICH OBRIST: Mi puoi parlare dei tuoi progetti non realizzati? Progetti utopistici, irrealizzati o impossibili da realizzare?
CHANTAL AKERMAN: Ne ho fatto uno sette anni fa, nel momento stesso in cui in Israele sembrava esserci una speranza di pace. Ho fatto delle indagini in Siria, Libano e Giordania scrivendo alla fine un testo per il quale, purtroppo, non mi sono battuta abbastanza. Non so perché... senza dubbio ho avuto paura. Il mio produttore, Thierry Garrel, non ne era entusiasta, e io non mi sono impegnata a fondo. Due anni dopo, quando abbiamo realizzato Sud, mi ha detto: "Avrei dovuto farti fare quel film sul Medio Oriente". Oggi, se dovessi riprendere il progetto, racconterei l'impossibilità di filmare il Medio Oriente.

*( per gentile concessione dell'autore e di Domus editoriale)