Comunicato Stampa

L'evento Going Public, organizzato in corrispondenza del Festival della Filosofia, propone un percorso all'interno delle pratiche artistiche che hanno fatto dell'interpretazione del territorio, del sociale e del politico, la loro materia prima. Ideato dal Laboratorio Culturale aMAZE (info@amaze.it) e curato da Marco Scotini e Claudia Zanfi, l’evento ospiterà progetti collettivi e nomi di autori, provenienti da altrettante realtà internazionali diverse fra loro, alcuni dei quali presentati per la prima volta in Italia.

Nel momento di crisi radicale del concetto di “pubblico” e della rappresentazione del “politico” che su di esso si fondava; quando le forme di convivenza consolidate appaiono in declino quanto quelle di appartenenza di classe e di popolo; quando si assiste al trionfo dei molti e delle singolarità, niente - allo stesso tempo e paradossalmente - appare più pubblico di adesso.

Ciò che caratterizza la sfera pubblica attuale è che essa non si definisce più in quanto tale, per contrapposizione ad una sfera privata o individuale, ma perché tutto lo spazio sociale diviene in se stesso pubblico, per interna costituzione, senza bisogno di alcuna mediazione politica e culturale: sottraendo tutti gli elementi intermedi alle differenze. In sostanza l’autorità controlla i comportamenti dissolvendosi nell’insieme dei gruppi e dei saperi così che la sfera privata, nelle sue funzioni vitali e ordinarie, si vede letteralmente attraversata dalla socialità.

L’intero fenomeno, noto sotto il nome di biopolitica, agisce come vero e proprio paradigma di potere all’interno del nuovo ordine globale. Introdotto da Foucault nell’individuazione del passaggio dalla società disciplinare alla società del controllo il biopotere diviene un inedito “dispositivo”, cioè un orizzonte normativo interno, in grado di permeare i corpi e gli individui, organizzandoli nella totalità delle loro attività. La capacità della biopolitica di investire ogni aspetto della vita, agendo sulla sua stessa produzione e riproduzione, nasconde però il paradosso di un contropotere, che non si attacca più ai margini, ma agisce al suo centro.

Tale paradosso consiste nell’istituzione di una forma di potere che mentre ingloba ogni elemento del sociale, nello stesso momento svela un nuovo contesto caratterizzato dalla massima pluralità e da un’ “incontenibile singolarizzazione”: una nuova figura della vita associata, che qualcuno ha definito “continente-moltitudine”. Non più popolo, né comunità, piuttosto regione mediana tra individuale e collettivo, la moltitudine vive degli attuali processi di spaesamento e di sradicamento, trasformando il proprio destino di perpetua deriva in un progetto di resistenza e di opposizione.

Quando flussi di immagini in movimento incontrano sfere pubbliche diasporiche, fortemente mobili e delocalizzate, l’unico spazio reale su cui immaginare le nuove comunità all’interno di un progetto di cittadinanza globale è quello alimentato quotidianamente dalla circolazione (legale e non) dei gruppi e degli individui. E’ quello spazio conteso, interstiziale su cui la moltitudine esercita il proprio potere di determinare la nuova circolazione globale e la nuova ibridazione tra popoli, individui, razze, generi, saperi. C’è chi lo chiama “esodo globale”.

Senza bisogno di leggere De Certeau, Appadurai, Agamben, Negri o Virno, questi concetti già da molti anni figurano nel lavoro di molti artisti internazionali che hanno sviluppato un’ attitudine di intervento nel sociale tra le maglie più nascoste delle politiche pubbliche, delle pratiche dal basso, dell’attivismo popolare, del nomadismo clandestino, degli insediamenti precari e temporanei. Alcuni tra i migliori di essi all’interno di Going Public sceglieranno quale campo d’azione i luoghi di comunicazione come quelli dell’esclusione, le minoranze e le memorie locali in alcune tra le città emiliane (Modena e Sassuolo) più complesse dal punto di vista sociale e ricche di storia. Nell’utilizzo dell’intera Rete Ferroviaria Provinciale gli autori andranno ad intervenire là dove il concetto di “delocazione” è non solo metaforizzato, ma reale.